la frase che segue è il punto di partenza
Ξένος: …ἐφάνη διάνοια μὲν αὐτῆς πρὸς ἑαυτὴν ψυχῆς διάλογος
Lo Straniero: “…così si può vedere che il pensiero è un dialogo dell’anima con se stessa”
Platone, Sofista, 264
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un po’ di filologia per introdurci nel discorso
ἐφάνη – (efàne): – la radice di luce (phos), e conseguentemente di fenomeno; l’Epifania joyciana.
δια- (dia) – prefisso che esprime una dualità: positiva o negativa. O entrambe le cose allo stesso tempo. Nella citazione da Platone accomuna ‘nous’ e ‘logos’ (diànoia – diàlogo), suggerendo quanto il pensiero consista nella sua attuazione, nel suo ‘spettacolo’.
πρὸς – (pros): con l’accusativo, come qui, segna destinazione, accordo, unione. Figura la relazione di presenza. Quindi, anche qui: il teatro.
ψυχή – (psüchè): la funzione meccanica della respirazione. Come tutte le radici basate sulla labiale esplosiva iniziale (pneuma, flusso, vlna, flos… e Bloom) racconta un rigonfiamento, un’infiammazione, o, come in questo caso, grazie alla sibilante, una dilacerazione (così in Omero: l’animula che fugge dalla ferita). Comunque, anche qui, ed è il modo generale, richiama una dinamica.
Ξένος – (xènos): ci siamo identificati in questo Straniero di Elea: quindi italiano? Iniziando a trattare il tema della ‘cittadinanza’ (The Citizen, in Ulysses XII). E’ un tema importante per noi, visto che dialoghiamo con Joyce ‘pur non essendo irlandesi’.
Possiamo farlo seriamente? Dobbiamo invocare tolleranza? In realtà la questione più generale si pone in questi termini, fra più intimi del progetto joyceano: la condivisione territoriale o linguistica produce esclusività? Cioè: è irraggiungibile? Ma Joyce stesso non ha dovuto diventare ‘straniero’, conversare in triestino in casa, per parlare di Dublino?
Detto con esempi un po’ provocatori: sono più simili fra di loro due donne, separate da un oceano, oppure un uomo e una donna di Dublino? Due gentiluomini, magari presi agli antipodi, ma con una forte attitudine comune – per esempio riguardo alla violenza – o due qualsivoglia vicini di casa? Due cattolici di madrelingua diversa oppure due irlandesi coetanei, di cui uno protestante? Ed in un manuale di letteratura ‘inglese’, Mr. Nabokov avrà la stessa cittadinanza del Dr. Beckett? Józef Conrad più di Giovanni Scoto Eriugena? Ó Conaire meno di Gibran? Sul concetto di ‘Esilio come patria’ riposa la nostra legittimità a trattare Joyce; pur non essendo dublinesi, o irlandesi non cattolici, o inglesi di seconda, o terza lingua… Motherland, Vaterland, Patrie: la terra dei padri, non dei figli.
E’ la feconda categoria dell’appartenenza, accezione ambientale della nozione di identità. Anche questa, quindi, una questione di dinamica. Positiva e negativa.
Polifonia
Intorno alla scomposizione del personaggio ‘Molly’ in diverse voci. Due precedenti in Joyce (per cominciare; il sito è sempre in costruzione):
“Having first felt that it is one thing you feel now that it is a thing. You apprehend it as complex, multiple, divisible, separable, made up of its parts, the result of its parts and their sum, harmonious. That is consonantia.”
“Dopo aver sentito che la cosa è una, si sente che è una cosa. La si percepisce complessa, multipla, divisibile, separabile, composta delle parti, risultato e somma delle parti, armonica. Questa è la consonantia“
“This progress you will see easily in that old English ballad Turpin Hero, which begins in the first person and ends in the third person. The dramatic form is reached when the vitality which has flowed and eddied round each person fills every person with such vital force that he or she assumes a proper and intangible esthetic life.”
“Potrai veder facilmente questa progressione in quell’antica ballata inglese Eroe Turpin, che comincia in prima persona e finisce in terza. Si raggiunge la forma drammatica quando la vitalità, che è passata vorticosa intorno a ogni personaggio, riempie ciascuno di questi personaggi con una tal forza vitale che l’uomo o la donna, secondo i casi, assumono una vita estetica propria e intangibile”
A Portrait of the Artist as a Young Man – Dedalus. Traduzione Giorgio Melchiori
Nel caso della prima citazione: nel film si è presa la direzione opposta, per quanto sullo stesso asse: risalendo dall’unità alla molteplicità; alla διαίρεσις (una dieresi: il Sofista ne fa guida).
Con il passo successivo Joyce, as a Young Man, osserva la continuità ideale fra prima e terza persona. Continuità vuol dire anch’essa, in qualche modo, identità. E la drammaticità, cioè l’azione, il ‘teatro’ che ne consegue. Confronta anche la dialettica fra la terza e la prima persona in Proust (Jean Santeuil; Un amore di Swann); ma già nei Dubliners – e virtuosisticamente in ‘Proteus’… L’enfasi va sulla dialettica dei termini, non sulla loro precedenza. In Joyce, la prima persona sfocerà nel H.C.E. (Here Comes Everybody) – e i suoi “molteplici Me”.
Il teatro interiore
La quaestio scolastica divide, sulle orme del processo romano, i ruoli in antagonismo – in opposizione, direbbe de Saussure. La quaestio diventerà la ‘question‘ di Amleto, lo studente della facoltà scolastica di Wittemberg che nel noto monologo ne fornisce un preciso esempio. Scolastica e Shakespeare erano i numi tutelari di Joyce, all’epoca.
W. Shakespeare, Riccardo II; V, 4:
“My brain I’ll prove the female to my soul / My soul the father, and these two beget /A generation of still-breeding thoughts /And these same thoughts people this little world […]Thus play I in one person many people […] And straight, am nothing”
“Farò della mia mente la femmina, del mio spirito il maschio; in due daranno luogo a una generazione di pensieri che ne produrranno altri, altri ancora, tutti questi pensieri popoleranno questo angusto mondo […] Così recito in un solo personaggio la parte di molti […] E subito, non sono nulla (traduzione Mario Luzi).
Quel nothing, così Shakespeariano, con cui flirterà, proseguendo oltre (‘and straight‘) Molly in perfetta continuità , si scomporrà nel H.C.E. – Finnegans Wake. La cui ‘s’finale (Finnegan-s) infatti segnala non un genitivo sassone, ma un plurale*, sottolinea Eco*.
La citazione vale anche per la questione del ‘genere’ del discorso . Sul fatto che alcune battute di Molly, in mollysday, siano dette da un uomo (in realtà, sottilizzando un po’, da un personaggio, quindi da un attore: non è ovviamente la stessa cosa; l’actor, nel processo romano, è il querelante; la parte in causa, e una donna vi può essere tranquillamente rappresentata da un uomo). Non è un accenno alla sessualità, casomai il contrario. Attiene alla neutralità del Linguaggio, non alla sua connotazione sessuale. Il Linguaggio è infatti un attributo dell’essere umano nella sua neutralità (e il pensiero corre una seconda volta alla neutralità biografica del Narratore in Proust).
In Joyce, questa neutralità ha i caratteri dell’esiliato, dell’outsider, dello straniero, il marchio dei tre personaggi principali dell’Ulisse: l’Estraneo (‘Poldy not Irish enough‘), la Prigioniera Molly (‘locked up like in a prison‘), lo Straniero Stephen (“union with a young stranger“).
(“And therefore as a stranger give it welcome”, “Allora accoglilo come uno straniero” Amleto I, 5).
Odissea, VI, 187.
τὸν δ ̓ αὖ Ναυσικάα λευκώλενος ἀντίον ηὔδα·
“ξεῖν…
E gli rispose cosí Nausica dal candido braccio:
«O straniero…**
Ulisse. Youlysses.
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In definitiva: se vuoi recitare il Linguaggio, (la “Cifra”), come hanno fatto, diversamente fra loro, i più consapevoli artisti dell’ultima generazione utile, da Luca Ronconi a Carmelo Bene, diventa indispensabile distanziarlo dal personaggio. Senza cadere nel formalismo, nel nichilismo. Modernismo è tensione, non rottura. La casa (del Linguaggio, dei Diritti; persino quella di Le Corbusier…) deve essere, è ancora abitabile. Non solo ricordata.
Quindi un film: Mollysday.
*U. Eco, Milano, 1966. p. 115
** Tr. E. Romagnoli – 1926
